domenica 21 luglio 2013

Un milione e ottocentomila passi



La copertina del libro
Ho letto un libro bellissimo e lo voglio condividere con voi. Non ho mai scritto la recensione di un libro e non intendo cominciare adesso, voglio semplicemente parlarvi di una storia vera, scritta dalla donna che l’ha vissuta e che mi ha coinvolto tantissimo.
Si tratta di “Un milione e ottocentomila passi” sottotitolo “Io, il mio bambino e il Cammino di Santiago” di Elisabetta Orlandi. A questo punto quelle di voi, la maggior parte suppongo, che sanno già che io sono fissata con il Cammino di Santiago ha il mio permesso di allontanarsi, mi dispiace, forse sembra che io scriva sempre di quello, non so che fare, ce l’ho in testa e ce l’ho nel cuore, rassegniamoci.

Ma torniamo al libro. Elisabetta è una ragazza di Verona che nel 2006 ha deciso di intraprendere il pellegrinaggio verso Santiago de Compostela insieme al suo bambino di otto anni Johann; nel libro racconta la storia di questa avventura straordinaria vissuta con semplicità e gratitudine per ogni cosa, bella o brutta, affidando ogni suo passo ed ogni passo del suo bambino a Él de arriba.
Per chi come me è stato sul Cammino, è una storia in cui si racconta, come attraverso delle fotografie, di posti che si conoscono, di luoghi in cui ci si è fermati, in cui abbiamo mangiato, dormito, pianto per il dolore o sorriso per un fiore nel campo. Un racconto in cui conosci già i luoghi in cui i due protagonisti stanno per arrivare prima ancora che lo sappiano loro e mentre lo leggi vorresti urlargli i tuoi consigli: “attenta, prendi l’acqua che nel prossimo pueblo la fuente non è potabile!” oppure: “mettigli il vix vaporub a quei bei piedini, non fargli venire le vesciche!”, “non fermarti a Burgos, tira avanti!”. Insomma davvero qualche cosa di coinvolgente.


La Meseta tra Burgos e Hontanas
Ma anche per chi non sa neppure che cosa sia il Cammino di Santiago penso che possa essere bellissimo leggere del rapporto tra questa madre ed il suo bambino, un rapporto di gratuità totale. Una madre che vede il figlio andare, che vuole che vada, che non cerca di trattenerlo a sé, ma vuole che vada per la sua strada; che lo mette sul Cammino perché impari a camminare da solo e, dopo avergli insegnato a camminare già una volta quando era piccolino, gli insegna nuovamente come si cammina nella vita.
E poi ci sono tutti gli elementi in cui ogni pellegrino potrà riconoscersi e che forse sono gli aspetti che attirano tutti gli altri su questo mistico percorso. Ci sono gli amici (angeli) che si trovano lungo la strada e poi si perdono per ritrovarsi più avanti, o forse mai più (come nella vita). C’è la zavorra che ci trasciniamo sulle spalle, tutto ciò che ci sembra indispensabile e che dopo due soli giorni di cammino diventa un pacchettino da rispedire a casa o regalare a chissà chi. C’è la natura in cui si cammina e che ci fa sentire dei disadattati ogni volta che si rimette piede in una città, la natura che ci fa essere parte di essa e che ci sembra il dono più bello che Qualcuno potesse farci:

“…Poi, l’obiettivo indugia su un’esile pianta d’avena selvatica, cresciuta sul ciglio della strada, e ritrae un istante di pura bellezza: la perfetta composizione del fusto sottile e dei rami delicati, le spighette appese come fragili decorazioni, il contrasto tra il suo brillante colore smeraldino e l’oro del campo sullo sfondo. Sarà il mio gioiello di oggi, un piccolo capolavoro di equilibrio ed eleganza che indosserò con lo sguardo e restituirò al mondo sotto forma di sorriso.
La sottoscritta a Tardajos
Ci sono la fatica ed il dolore fisico, le ampollas e le rodillas: Lo zaino sembra più pesante oggi e la fatica della recente salita mi appesantisce le gambe. Però io amo questo cammino, ne amo ogni singolo passo, ogni pietra, ogni spiga di grano. Non rinuncerei a niente, a nessun grammo di fatica, a nessun sassolino. È il nostro Cammino, ci aspetta”.

E poi c’è la meta finale, ma forse la vera meta è il cammino stesso.

Camminare, mettere un piede dopo l’altro, banalmente, e dirigersi verso una meta: però questo Cammino mi porta verso il mio proprio centro, si spinge all’interno, verso l’anima, il cuore. Lì non c’è mappa che valga, non c’è guida che conosca la strada e mi indichi dove si trova il rifugio, la fonte d’acqua, il cibo. Lo devo trovare da sola. Magari non sarà un viaggio piacevole, o facile. Ma adesso, per me, è irrinunciabile, anche se non ho ancora capito perché.”
Arrivo alla Plaza de Obradoiro davanti alla Cattedrale di Santiago
Insomma un libro non solo ad uso dei pellegrini, ma, come si augura Elisabetta nella prefazione, per tutti. E poi, se è vero che si diventa pellegrini nel momento stesso in cui si pensa di voler fare il Cammino, molti di coloro che lo leggeranno entreranno immediatamente nella schiera de los peregrinos de Santiago de Compostela.

Aggiungo infine che io ho letto praticamente ogni pagina con grande commozione e, in alcuni casi, le lacrime agli occhi. Sono innamorata del Cammino, sapete che io l’ho cominciato e ho dovuto interromperlo ad Hontanas per motivi di salute, ma da allora ed uno dei miei più grandi desideri è poterlo fare fino in fondo, poterci tornare non appena le condizioni familiari lo permetteranno. Per ora i miei bambini sono piccoli, ma ho sempre desiderato percorrerlo con loro, se vorranno accompagnarmi; pensavo di dover attendere che avessero una quindicina d’anni, ma il grandissimo Johann e la sua mamma mi hanno fatto riconsiderare tutta la faccenda!
Ultreya!

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